sabato 23 maggio 2015

► Olio di Palma - "Flagello di Dio" o "minore dei mali"?

Olio di Palma - Io sto con gli Oranghi!
Chi si interessa alle questioni ambientali e di alimentazione, avrà sicuramente sentito parlare del "famigerato" Olio di Palma e dei danni all'ambiente ed alla salute che il suo uso procurerebbe.

Prendendo spunto da due articoli della Rivista Online Wired, che scende a spada tratta in difesa dell'Olio di Palma che in estrema sintesi considera il minore dei mali, cosa che obiettivamente mi ero chiesto anch'io prima ancora di aver letto tali articoli, ritengo comunque sia troppo semplice cavarsela con un'argomentazione del genere anche se dettagliata.

Non intendo replicare punto per punto, sarei troppo prolisso e non avrei comunque tutte le necessarie conoscenze, anche se in alcuni casi invece gli articoli sono veramente risibili!  Però credo che molto si possa fare per ridurne il forte impatto ambientale e così come può non essere corretto attaccarlo a prescindere, anche la sua difesa incondizionata non va verso la strada giusta! Premesso e precisato che non esistono coltivazioni di Olio di Palma "certificate" o sostenibili, si potrebbe cominciare da qui:
1) Stop all'Olio di Palma come ingrediente dei Saponi, dei prodotti per l'igiene personale e dei detersivi, le alternative non mancano e ce ne sono a volontà

2) Stop all' Olio di Palma (ma anche a Soia, Colza e quant'altro) come carburante per le Centrali a Biomasse e la produzione di Biodiesel (assolutamente non sostenibile, non rinnovabile con alti impatti ambientali sotto tutti gli aspetti, inacettabile da qualunque punto di vista la si guardi )

3) Stop assoluto ed immediato alla deforestazioni e all'allargamento dei terreni coltivati a Palma.

4) per quanto riguarda gli alimenti, bisognerebbe andare verso una riduzione del fabbisogno, ed ad una diversificazione degli oli usati. Che l'olio di palma sia il più redditizio di produttività e il meno costoso, non significa che sia il meno impattante. Se tutto l'olio di girasole, di arachidi o di quant'altro sia commestibile e alternativo all'olio di palma, fosse indirizzato al settore alimentare, anzichè andare ad "alimentare" centrali a biomasse, l'impatto ambientale sarebbe uguale a ZERO, così come sarebbe uguale a ZERO, se anzichè deforestare si cambiasse cultura in terreni comunque di uso agricolo.

Per attuare questi 4 punti, se ci fosse la volontà non servirebbe poi molto e se non si attuano è solo ed esclusivamente perchè alle grandi multinazionali e ai governi, spesso corrotti,  non interessa nulla dell'Etica e della sostenibilità ambientale, ma solo di massimizzare i profitti!!! 
Per concludere riprendo dai commenti dai due articoli di Wired, le considerazioni interessanti di due lettori ed una testimonianza personale: 

Chiara Galletti :
Non sono un’esperta in salute alimentare, quindi mi guardo bene dal dare giudizi sulla nocivita’ dell’olio di palma sulla salute umana. Lavoro pero’ per una organizzazione che si occupa di combattere la deforestazione e la degradazione delle foreste e ritengo quindi doveroso, dal mio punto di vista, fare alcune precisazioni. L’olio di palma richiede enormi quantita’ di terreno, in zone ad alta densita’ di biodiversita’ e foreste vergini, in paesi in cui il sistema politico e’ debole e la corruzione e’ dilagante, oltre all’asia (ampiamente citata), l’africa centrale, e piu’ precisamente il bacino del Congo, e’ il nuovo eldorado per le monoculture. I produttori di olio di palma approfittano dei vuoti legislativi in materia fondiaria e di pianificazione del territorio per concludere contratti con i governi che cedono ampie zone forestali che vengono rase al suolo e convertite in monoculture, senza minimamente consultare le popolazioni locali che traggono dalla foresta il loro sostentamento e soprattutto senza alcuna ridistribuzione dei profitti.

Ritengo per questo abbastanza offensivo ritenere “ ingenua” la lotta per i diritti delle popolazioni che cercando di opporsi ad un business senza regole che minaccia il loro habitat e la loro sopravvienza. Ogni giorno muoiono attivisti e interi villaggi sono costretti a migrare perche’ la fonte della loro sussistenza e’ minacciata. Credo che gli si debba un po’ piu’ di rispetto.
E’ altresi’ da precisare che la FAO non e’ ente deputato al controllo della produzioni di olio di palma e il fatto che non si sia pronunciata sulla materia negativamente, sia da ritenere una rassicurazione. La FAO, l’agenzia delle nazioni unite per l’agricoltura, e’ un ente governativo e pertanto e’ subordinato alle pressioni politiche degli stati. E’ anche da precisare che le ONG che lavorano da anni posseggono competenze scientifiche comparabili se non superiori a quelle di organi governativi, e soprattutto non sono tenute a seguire nessuna linea editoriale.
 

Sono assolutamente d’accordo che sarebbe semplicistico pensare che l’olio di palma sia il nemico da combattere o che sia il prodotto a dover determinare il rispetto delle leggi e dei diritti, ma credo sia altrettanto semplicistico se non dannoso concludere che le alternative sarebbero uguali o peggiori.
Esprimersi in questo modo determina rassegnazione e pigrizia. Il problema non e’ il prodotto ma il consumo ipertrofico che se ne fa. Il consumatore deve essere invece messo nelle condizioni di capire che cambiare le proprie abitudini alimentari e di acquisto e’ l’unica forza in grado di pretendere dalle aziende rispetto per l’ambiente ed una economia sostenibile.


Fabio Franchini: 
C'è una considerazione che però tralasciate, ovvero il fatto che se anche le coltivazioni di arachidi o girasoli occuperebbero varie volte lo spazio necessario per le palme, è pur vero che l'areale di tali specie è estremamente vasto, e pertanto sono dislocabili "un po' ovunque", quando invece le coltivazioni di palma sono necessariamente da concentrare in un'area estremamente confinata (rispetto al totale delle terre coltivabili) e sempre ad altissimo livello di biodiversità, e valore ambientale conseguente.




Io posso raccontare solo la mia esperienza. Ho vissuto in Malesia per un anno e mezzo e per diversi mesi, a singhiozzo, abbiamo vissuto con la spada di damocle della cosiddetta Haze, una nebbia bianciastra che puzza di sigaro e rende l'aria a dir poco irrespirabile: senti i polmoni pesanti e gli occhi bruciano h24. Cos'e' questa Haze? In Indonesia periodicamente bruciavano foreste per far spazio alle palme da olio e una densa nube biancastra si alzava funesta e spinta dal vento si piazzava tra Singapore e Kuala Lumpur. Purtroppo da li'proprio non se ne voleva andare perche' tutta l'area e' in una conca non ventilata. Ricordo che per almeno 20 giorni la visibilita' non ha superato i 20m. Tipo nebbia in val padana ma tossica. Non parliamo poi degli effetti sulle vite di milioni di persone, scuole chiuse per decine di giorni, code nelle cliniche, traffico paralizzato... o delle piogge acide a gogo, un altro danno collaterale che investiva e investe tutto e tutti. Andare a lavoro era un'impresa, vestiti affumicati e maschera d'ordinanza con un paio di calzini bagnati dentro come filtro (puliti pero'!). Giorni e giorni senza poter aprire porte e finestre pena intossicazione rapida. Quello che posso dire e' il disastro ambientale da quelle parti non conosce sosta da decenni. E' semplicemente una enorme fornace a cielo aperto, ma tanto e' lontana...

Nessun commento:

Posta un commento