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Boscone della Mesola |
Il “BOSCO DELLA MESOLA”. Detto anche "Boscone" della Mesola, noto soprattutto perchè ospita i Cervi della Mesola (Cervus Hippelaphus elaphus) unici relitti del Cervo Italico dell'Italia Peninsulare è il più grande Bosco di pianura di tutta Italia ed ha tutte la carte in regola per essere considerato sia a livello storico che naturalistico un qualcosa di molto importante a prescindere dai Cervi ospitati.
Le nozioni qui sotto riportate sono tratte da materiale informativo distribuito dal Corpo Forestale dello Stato.
Report-ino fotografico 2009
Il “Bosco della Mesola”, di 1058 ettari, e’ in gestione al Corpo Forestale dello Stato tramite l’Ufficio territoriale per la Biodiversità di Punta Marina (RA). Situato in Provincia di Ferrara, e’ incluso nel territorio dei comuni di Mesola, Goro e Codigoro. Attualmente la Riserva Naturale dello Stato “Bosco della Mesola” (istituita con D.M. 13.7.77) e la Riserva Naturale Integrale “Bassa dei frassini – Balzanetta” (D.M. 26.7.71) fanno parte della Rete Natura 2000 e sono classificate come SIC (Sito di importanza Comunitaria) e ZPS (Zona Protezione Speciale) ai sensi rispettivamente delle Dir. 92/42/CEE e 79/409/CEE. Tutelato ai sensi della Legge Quadro sulle Aree Protette (L. 394/91), e’ inserito nel Parco Regionale del Delta del Po (L.R. 2.7.88 n.27); la Riserva Naturale Integrale e’ Riserva della Biosfera dell’UNESCO.
ASPETTI GENERALI
Canale nel Bosco della Mesola |
La ricchezza vegetazionale del Bosco della Mesola è dovuta al mosaico di microstazioi creato dall’antico sistema dunale: piccole variazioni di quota e di morfologia del terreno producono netti cambiamenti nei fattori ecologici (disponibilità idrica per la vegetazione, livello e caratteristiche della falda idrica, tipo di suolo ecc. ). Dal punto di vista fitosociologico nel Bosco della Mesola sono state individuate tre associazioni: il bosco igrofilo delle bassure (Cladio-Fraxinetum oxycarpae), la lecceta che occupa la sommità delle antiche dune (Orno-Quercetum ilicis) e il bosco mesofilo (aggruppamento a Carpinus e Quercus robur) che si colloca in una situazione intermedia rispetto ai tipi precedenti, nelle fasce interdunali parzialmente interrate.
Fattori geomorfologici ed idrologici
Pozza d'Acqua nel Boscone della Mesola |
Il Bosco della Mesola è intersecato, al suo interno, da una fitta rete di canali che ha una funzione ecologica determinante ai fini dell’evoluzione delle cenosi forestali presenti.
Il ruolo che dunque assume l’approvvigionamento idrico grazie alla falda (garantito dal sistema di canalizzazione interno) è di cruciale importanza e per questo negli ultimi anni il bosco è oggetto di un monitoraggio continuo attraverso una rete di piezometri.
ASPETTI FORESTALI E VEGETAZIONALI
Scorcio del Boscone della Mesola |
Querco-carpineto dei suoli delle spianate
Su una superficie approssimativa di circa 400 ha, in prevalenza nella parte settentrionale della riserva, il tipo a farnia e carpino (soprattutto Carpinus orientalis) rappresenta il bosco mesofilo e occupa le originarie zone interdunali che si sono via via interrate e livellate. I suoli sono imperfettamente drenati, con una superficie freatica tra 0,5 e 1 m di profondità nel periodo invernale e tra 1 e 1,5 m nel periodo estivo-autunnale. Lo sviluppo radicale delle piante arboree si trova limitato dal livello della falda nel periodo invernale. Le specie caratteristiche di questo tipo sono i due carpini (C. orientalis e C. betulus), la farnia (Quercus robur), presente in maniera discontinua e poche altre specie, come Viola hirta, Buglossoides purpurocoerulea, Pteridium aquilinum, Cornus mas, che in genere si rinvengono in modo localizzato. Fra le altre specie presenti oltre al leccio, sono frequenti Fraxinus ornus, Crataegus monogyna, Ruscus aculeatus, Hedera helix, Ligustrum vulgare, Cornus sanguinea, Brachypodium sylvaticum, Carex flacca e il muschio Mnium affine.
Lecceta
La lecceta si può riscontrare in una forma tipica, che prevale sulle dune più recenti (alture), dove il leccio è spesso puro,e in una forma di transizione verso il bosco mesofilo. Il leccio sembra in queste condizioni a prima vista nettamente meno vitale e concorrenziale rispetto alla stazione della lecceta tipica e l’ingresso graduale delle specie mesofile è inevitabile. I suoli presentano tracce di ristagni d’acqua e superficie freatica tra 1 e 1,5 m.
La lecceta tipica rappresenta la facies più xerofila della lecceta e, costituendo una condizione ecologica estrema, presenta una caratteristica distribuzione lungo i cordoni dunali più recenti che si rinvengono nelle porzioni marginali della riserva, a oriente, occidente e nella parte meridionale. I suoli risentono maggiormente della siccità estiva (nella maggior parte degli anni la falda freatica è assente entro1,5 m di profondità). In queste condizioni il leccio è decisamente la specie arborea più concorrenziale, considerando anche il deficit idrico particolarmente significativo nel periodo estivo. Le specie caratteristiche di questo tipo sono termofile: oltre al leccio, si trovano infatti Phillyrea angustifolia, Asparagus acutifolius, Rubia peregrina e Clematis flammula. Varie altre specie, non necessariamente termofile, possono essere presenti nelle zone più luminose o come strato lianoso (Hedera helix, Rubus fruticosus), mentre nello strato alto-arbustivo qualche volta sono presenti anche l’orniello e il biancospino.
Pioppo-frassineto dei suoli delle bassure
Questo tipo è localizzato nelle depressioni interdunali dove i suoli si presentano mal drenati con acquitrini affioranti nei mesi più umidi; la falda nel periodo invernale-primaverile è entro mezzo metro di profondità, mentre nel periodo estivo-autunnale si trova fra 0,5 e 1 mt di profondità. Il ristagno idrico superficiale comporta in genere, nella parte centrale più acquitrinosa della bassura, la presenza di vegetazione erbacea resistente a prolungati ristagni idrici, come Cladium mariscus, Thelypteris palustris, Samolus valerandi, mentre mano a mano ci si sposta sui bordi leggermente più elevati sono presenti specie arbustive (Prunus spinosa, Frangula alnus, Pyrus paraste) ed arboree come Fraxinus oxycarpa, Populus alba e, prima che venisse decimato dalla grafiosi, anche Ulmus minor. Altre specie caratteristiche del tipo sono Carex distans, Carex acutiformis, Mentha aquatica, Potentilla reptans, Hydrocotyle vulgaris, Rubus caesisus. Le due specie arboree più caratteristiche sono il pioppo bianco, che tende localmente a spingersi nel bosco di carpino, la farnia, che in genere approfitta della maggiore luce presente in prossimità delle radure acquitrinose rimanendo quindi sui bordi della bassura, e il frassino ossifillo, che spesso forma gruppi coetaneiformi con tendenza ad occupare più tipicamente le porzione centrali della bassura, localmente fino alle zone allagate più umide. Questo tipo forestale è più frequente nella parte nord-occidentale del bosco, dove talvolta raggiunge un’estensione in larghezza maggiore di 100 m, mentre nelle altre porzioni del bosco può essere meno sviluppato e seguire più che altro l’andamento delle antiche linee di interduna dove spesso oggi sono presenti i principali canali di drenaggio. La vegetazione arborea, come si è detto, è confinata ai margini, cosicché l’ambiente è sempre molto luminoso: questo fatto si riflette in una migliore stratificazione arborea che in altre parti del bosco. Questo tipo forestale presenta un notevole interesse naturalistico per la presenza del frassino ossifillo, una specie con areale meridionale considerata relativamente rara in Italia settentrionale che dà il nome all’associazione descritta proprio al Bosco della Mesola, e di altre specie che come la precedente non sono rare in senso assoluto, ma localmente sono scomparse per la distruzione degli habitat igrofili di pianura a causa della bonifiche (Cladium mariscus, Thelypteris palustris, Smolus valerandi). Oggi in alcune bassure del bosco è possibile osservare schianti di pioppo, di frassino e talvolta di farnia, a testimonianza dell’equilibrio precario delle piante più mature e più alte del bosco in una situazione ecologica che limita l’orizzonte delle radici agli strati più superficiali per il livello elevato della falda: si tratta di fasi di “decadenza” del bosco che coinvolgono interi gruppi di piante (abbattute dai venti più forti), di grande valore naturalistico.
Pineta dei suoli sabbiosi
La pineta (Pinus pinaster e P. pinea) si trova frequentemente nella stessa situazione ecologica della lecceta ed è artificiale (i rimboschimenti risalgono agli anni 1945-47, 1961 e 1971). La sua estensione è di poche decine di ettari.
ASPETTI FAUNISTICI
Cervo della Mesola (Cervus Hippelaphus elaphus) |
La varietà di habitat del Boscone, ma anche il fatto di essere l’unica superficie forestale del Delta di una certa estenzione, si riflette in una notevole ricchezza faunistica. Nell’ambiente ricco di canali, bosco in varie fasi di sviluppo, necromassa al suolo ecc., sono presenti numerose specie di mammiferi, uccelli, rettili e anfibi.
Il cervo (Cervus elaphus), ritenuto originario del posto, rappresenta senza dubbio uno degli elementi naturalistici più significativi dell’area deltizia. Poco più di cinquecento anni fa il cervo era presente in quattro complessi forestali tra il Po e Ravenna. La deforestazione, le bonifiche e la persecuzione costrinsero la specie nel XVIII secolo a ritirarsi in un limitato tratto di foresta di proprietà dell’Abbazia di Pomposa. Il Bosco della Mesola, confinante su tre lati con paludi malariche e su un lato con il mare, ha conservato nei secoli questo nucleo che dopo l’ultimo conflitto mondiale ha rischiato l’estinzione, riducendosi ad appena una decina di esemplari.
Attualmente il nucleo è in ripresa e conta circa 180 capi.
Recenti studi genetici hanno evidenziato come il cervo della Mesola è risultato possedere un aplotipo privato, geneticamente differenziato sia dagli aplotipi condivisi dalle altre popolazioni peninsulari, sia da quelli presenti nella sottospecie sarda, ribadendo l’importanza naturalistica e conservazionistica di questo nucleo. Dal punto di vista morfologico i Cervi della Mesola presentano piccole dimensioni ed una struttura semplificata dei palchi che, tuttavia, negli ultimi anni mostrano un netto miglioramento qualitativo a seguito di mirati interventi.
In particolare, sia la corona sia l’ago, tratti morfologici esclusivi del Cervo Nobile, sono apparsi nuovamente alla Mesola, dopo 40 anni, in diversi individui. In altri termini è possibile affermare che questa popolazione mostra una spiccata rusticità, caratterizzata da accrescimenti rallentati, dimensioni finali modeste e dimorfismo sessuale attenuato; si tratta di un ecotipo di mantenimento, tipico di un ambiente marginale e poco produttivo.
L’altro Ungulato presente nella R.N. è il daino. Introdotto in passato e fino agli anni compresi tra il 1957 ed il 1965, da quell’epoca coesiste e compete con i cervi. La consistenza della popolazione di daino nella R.N., durante il periodo compreso tra il 1980 e l’attuale, è verosimilmente oscillata tra un minimo di 350 ed un massimo di 1000 esemplari, per una biomassa stimata di circa 15 – 45 t.
Secondo tali stime la presenza del daino sottrae giornalmente al cervo da 1.6 a 4.5 t di foraggio fresco ed interferendo pesantemente con i processi ecosistemici.
Tra i mammiferi interessante la presenza di diverse specie di chirotteri legate agli ambienti boschivi (7 specie, tra cui nottola e barbastello) oltre ad una cospicua colonia di tasso. Presente la puzzola e la Volpe. A lungo andare il pascolamento del daino ha influito sulla composizione vegetazionale e sulla struttura del bosco interferendo con la componente faunistica presente.
(Cuculus canorus) Cuculo |
Tra i rapaci diurni nidificanti si segnala lo sparviero ed il lodolaio. Il carattere di insularità della Riserva – rispetto i terreni agricoli circostanti – si evidenzia nella presenza, durante i passi migratori, di specie anche rare come l’aquila anatraia minore ed il falco pescatore.
Tartaruga nel Boscone della Mesola |
Storia
Castello di Mesola |
Non e’ facile ricostruire gli eventi storici e colturali che hanno maggiormente segnato la struttura e la composizione dei boschi di quest’area. Sembra certo che il bosco attuale si chiamasse bosco dell’Ellisola (Gigliola) e che facesse parte di un complesso boscato più ampio, in origine di proprietà della Prepositura Pomposiana.
Nell’attuale abitato di Mesola, posto ad alcuni chilometri di distanza, nel Cinquecento fu costruito dagli Estensi un castello come sede per il ritrovo autunnale della corte, dove fino al 1598 fu presente il Bosco di Mesola, cinto da mura e poi smantellato alla morte del duca d’Este, da non confondersi con l’attuale.
Probabilmente l’attuale bosco deve la sua conservazione anche al fatto che sia rimasto per lungo tempo circondato da acque vallive e quindi era più difficilmente raggiungibile dall’entroterra. Il Bosco della Mesola, meglio noto come Boscone della Mesola o Gran Bosco di Mesola, passò di proprietà numerose volte, dalla casa d’Este a quella asburgica (1758), da questa allo Stato Pontificio (1785) e quindi alla Repubblica Francese (1797), fino a transitare nel 1919 alla Società per la Bonifica dei terreni ferraresi che lo acquistò dall’Istituto Santo Spirito di Roma. Fino a quest’epoca le notizie sulla gestione non sono molte.
Il bosco serviva principalmente a produrre legna da ardere e fascina per i paesi limitrofi di Goro e Bosco Mesola, veniva trattato come ceduo matricinato con turni molto ravvicinai di otto anni; era pascolato, in certe parti coltivato (vite) e venivano cacciati cervi, daini, caprioli, lepri e numerosi volatili (soprattutto fagiani e uccelli palustri). A partire dal 1919, in coincidenza con l’inizio di profonde opere di trasformazione fondiaria anche del territorio circostante, si effettuavano i primi interventi di rimboschimento, di semina e di trapianto di pini sulle dune sabbiose e di ricostruzione boschiva nelle zone più degradate (nella parte nord dell’attuale riserva). La superficie, la viabilità e la canalizzazione interna assumevano l’attuale dimensione e fisionomia. Ancora in questo periodo veniva praticato il pascolo brado e, dopo un periodo di sospensione della caccia, nel 1928 era presente una consistente dotazione di selvaggina che contava forse fino a circa 4000 capi (all’epoca nel conteggio venivano inclusi, indifferentemente, oltre gli ungulati anche lepri, fagiani, ecc.).
Con lo scoppio della guerra, si crearono condizioni di penuria di legname per la popolazione locale che viveva in un territorio estremamente povero di risorse combustibili. Nel periodo 1940-45 furono interessati da utilizzazione 666 ha di bosco e 1241 pini adulti vennero abbattuti per ordine delle truppe di occupazione tedesche. Nel 1954, dopo che il bosco rischiò di scomparire per effetto della Riforma Fondiaria che prevedeva il suo esproprio e l’appoderamento con messa a coltura, la proprietà passò all’Azienda di Stato per le Foreste Demaniali. Da questo momento inizia una gestione che negli anni puntò al consolidamento del valore naturalistico del bosco. Nel 1958 venne recintato il perimetro del bosco. Nel 1971 venne istituita la Riserva Naturale Integrale su 222 Ha e nel 1977 la Riserva naturale su tutta la superficie.
Boscone Parte Seconda
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Buona Visione, Orso Tibetano
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